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A Bologna la prima banca dei sogni

CORRIERE DI BOLOGNA 19 aprile 2016
ALMA MATER
A Bologna una Banca dei sogni per studiare l’attività onirica
Il laboratorio di Psicofisiologia del sonno dell’Ateneo ne ha raccolto 810, dal 1970 fino al 2005 quando è stato chiuso.
«Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni », suggerisce Shakespeare nella Tempesta. Già, ma cosa accade nella nostra mente quando chiudiamo gli occhi e cominciamo a dormire? Qual è l’attività che dà origine al sogno? Quali sono i serbatoi di ricordi di cui si alimenta?
Sono le domande che si sono posti i ricercatori del laboratorio di Psicofisiologia del sonno e del sogno dell’Alma Mater fin dalla fine degli anni Sessanta quando hanno raccolto e schedato i sogni delle persone. Ne hanno raccolti 810 in questa Banca dei sogni, attiva fino al 2005 quando il laboratorio è stato chiuso perché aveva bisogno di restauri. I lavori sono iniziati solo da poco e forse l’anno prossimo si potrà riprendere l’attività.

Intanto la Banca è un patrimonio ineguagliabile. Una delle prime pubblicazioni sui sogni raccolti è del 1974 a firma Marino Bosinelli, il professore che ha fondato il laboratorio e che appartiene alla scuola bolognese di studi sul sonno famosa in tutto il mon- do. «A noi non interessa la natura patologica o fisiologica del sonno, ma quella psicologica — spiega Miranda Occhionero, professore associato di Psicologia generale dell’Ateneo, responsabile oggi del laboratorio insieme al direttore del dipartimento Vincenzo Natale —, studiamo l’attività mentale che occorre durante il sonno».

Trascorriamo un terzo della nostra vita dormendo. Perché? Non esistono risposte univoche. Per gli psicanalisti alla Freud il sonno è «la via regia all’inconscio». «Ecco — dice Occhionero —, a noi non interessa il contenuto del sogno, ma la struttura cognitiva del sonno per capire le differenze con l’attività mentale durante la veglia». 

Com’è la struttura del sogno ? Analizzando quelli raccolti nella Banca si è visto che il sonno è composto da cicli che si susseguono, composti a loro volta da fasi. Gli autori dei sogni, molto spesso studenti arruolati in dipartimento, venivano attentamente monitorati attraverso elettrodi per registrare l’attività dei neuroni della corteccia cerebrale, i movimenti oculari e il tono muscolare. Per capire così in quale tipo di sonno si trovavano quando i ricercatori decidevano di svegliarli per farsi raccontare con tutti i dettagli il sogno. Proprio come se stessero guardando un film. «C’è la fase Rem e la fase Non Rem, composta di quattro stadi di cui gli ultimi due sono il cosiddetto sonno profondo — spiega Occhionero —. Questo è un sonno a onde lente, da cui si fatica a svegliarsi, e occupa la prima parte della notte. È come se il cervello andasse in coma ed è in questa fase che si possono avere fenomeni come il sonnambulismo».
Il sonno profondo e le fasi REM - Anche nel sonno profondo si sogna, almeno nel 50-60% dei casi, è un sogno con caratteristiche diverse, più corto e un po’ meno bizzarro. Il cervello lavora sempre durante il sonno, è il prodotto ad essere diverso. Nella fase Rem infatti l’80-90% dei soggetti ricorda e racconta quanto sta sognando, racconti più lunghi, articolati, complessi.
Analizzando otto ore di sonno, le prime quattro sono caratterizzate da rare fasi Rem e fasi più lunghe di sonno profondo, che invece scompaiono nelle successive quattro ore a favore di un allungamento della Rem. I sogni sono stati analizzati secondo parametri (la presenza di sé, eventuali sdoppiamenti del soggetto, numero dei personaggi, contenuto emotivo, distorsioni spaziotemporali) e scomposti per scoprire i serbatoi da cui la mente attinge. Il film che ogni notte proiettiamo nella nostra mente è alla fine il frutto delle nostre esperienze: non c’è nulla di originale nel contenuto, solo il montaggio lo è. Attingiamo da diversi contenitori di memoria per farci la nostra personale pellicola. Le esperienze di vita, le conoscenze generali attinte nel mondo, le memorie che fanno capo a desideri e abitudini. I sogni sono proprio ciò che siamo, come diceva Lucrezio